Il Vangelo di oggi

MISERICORDIAE VULTUM IN AETERNUM ADOREMUS.."[O Dio] continua ad effondere su di noi il tuo Santo Spirito, affinché non ci stanchiamo di rivolgere con fiducia lo sguardo a colui che abbiamo trafitto: il tuo Figlio fatto uomo, Volto splendente della tua infinita misericordia, rifugio sicuro di tutti noi peccatori bisognosi di perdono e di pace nella verità che libera e salva. Egli è la porta attraverso la quale veniamo a te, sorgente inesauribile di consolazione per tutti, bellezza che non conosce tramonto, gioia perfetta nella vita senza fine .."(PAPA FRANCESCO)

Fotomontaggio realizzato da Antonio Teseo
L'ora in Manoppello:

METEO MANOPPELLO

www.libreriadelsanto.it
BLOG SENZA SCOPO DI LUCRO DI ANTONIO TESEO

giovedì 6 dicembre 2012

Come era il sudario del Volto Santo di Manoppello

Ricerca di Antonio Teseo

Ricostruzione in grafica delle originali misure del sudario del Volto Santo di Manoppello

(continuazione della pubblicazione precedente).

Immagine sindonica
Sovrapposizione del Volto Santo di Manoppello a quello della S. Sindone
Sotto, le misure originali del sudario del Volto Santo di Manoppello - 1,05m x 1,05m - prima che venne ritagliato, nel XVII secolo, da P. Clemente da Castelvecchio
 
 
A sinistra, riproduzione del Volto Santo di Manoppello:
Veronica col sudario, Cattedrale di Turku, Finlandia, cappella del battistero, 1330 ca. 
 

Come ho spiegato nella pubblicazione precedente, la misura originale in larghezza del lenzuolo tombale della S. Sindone, che sarebbe stato acquistato da Giuseppe d'Arimatea per dare sepoltura regale a Gesù, era di 2 cubiti reali egiziani, cioè la stessa del sudario di Manoppello che sarebbe servito per coprire il capo cadaverico del Maestro prima ancora che il suo corpo fosse avvolto con la sindone e deposto nella tomba.
Nell'immagine di sopra possiamo vedere, in tono chiaro, le originali dimensioni ricavate in grafica del sudario del Volto Santo sovrapposte, in scala 1 a 1, a quelle della S. Sindone. A sinistra ho fatto combaciare il margine di questa figura quadrata, di 2 cubiti x 2, con la cucitura di una fascia di tessuto, larga 8 cm e lunga 4, 41 m (l'intera misura non tiene conto della presenza nella striscia di stoffa di alcune lacune relative a tagli effetuati), che nella S. Sindone sarebbe stata scartata prima della sua vendita e riapplicata ad essa solo in un secondo tempo (nel video pubblicato sotto si fa un accenno a questo particolare).



venerdì 9 novembre 2012

Il Volto Santo di Manoppello misurava 2 cubiti x 2



In origine il sudario del Volto Santo di Manoppello era di 2 cubiti x 2 (il cubito reale egiziano veniva usato dagli ebrei all’epoca di Cristo per misurare i teli di finissimo bisso considerati preziosi per le sepolture regali). Se il Volto Santo e la S. Sindone sono le reliquie di Gesù, fu allora Giuseppe d’Arimatea a volere acquistare queste stoffe importanti per dare sepoltura in modo speciale al proprio Maestro, Re dei Giudei. 


Ricerca di Antonio Teseo

 
Nella Relatione Historica sulla venuta del Volto Santo a Manoppello di Donato da Bomba, troviamo scritto che questo sudario di bisso era di 4 palmi x 4 (Partita poi la donna con i quattro scudi, e, disbnigato gli affari in cui era occupato nell’ora del contratto, tutto allegro e festoso l’avventurato Donat’Antonio per sì bella compra, spiegò l’Immagine la quale era nel mezzo di un velo quadrato e tutto trasparente per la rarità della tessitura, dalla grandezza di quattro palmi da ogni lato, trovò che il velo, per essere stato malamente tenuto e conservato, dopo che fu pigliato dalla casa Leonelli, era tutto stracciato, lacerato, e da tignole e tarli mangiato, totalmente corrotto, che quasi era ridotto tutto in polvere; e quelli pochi stracciarelli rimasti pendenti, non aspettando esser toccati, da se stessi cadevano in terra, fuorché la SS. Immagine, la quale sebbene era alquanto denigrata, e molto aggrinzata, era nondimeno nel resto tutta bella, intatta, e senza corruzione alcuna). Continuando con la narrazione leggiamo che fu poi un frate contemporaneo a Donat'Antonio De Fabritiis, Padre Clemente da Castelvecchio, a ritagliare il telo fino a ridurlo alle dimensioni in cui si trova oggi, cioè 17cm x 24 (Onde l’istesso P. Clemente, pigliate le forbici, tagliò via tutti quelli stracciarelli d’intorno, e punificando molto bene la SS. Immagine dalle polveri, tignuole e altre immondizie, la ridusse alla fine come adesso appunto si trova. Il sopraddetto Donat’Antonio, desideroso di godersi quella Ss. Immagine con maggior devozione la fece stendere in un telaio di legno, con cristalli dall’una e dall’altra parte, ornata con certe cornicette e lavori di noce da un nostro Frate Cappuccino chiamato Frate Remigio da Rapino (non fidandosi di altri maestri secolari).

Nel XVII secolo, ossia quando Padre Donato da Bomba compose la sua Relatione Historica, Manoppello faceva parte del Regno di Napoli e pertanto 1 palmo di allora equivaleva a 26, 25 cm: 26, 25 x 4 = 105 cm (larghezza e lunghezza del bisso del Volto Santo).

All’epoca di Gesù gli ebrei usavano misurare i teli considerati preziosi di finissimo bisso in cubiti reali egiziani (tradizioni tramandate e attinte dai Testi Sacri, 2 Cronache, 3, 3; Esodo, 38, 9): 1 cubito equivaleva a 52, 5 cm. Se moltiplichiamo 52, 5 x 2, vediamo che il risultato è esattamente 105 cm, il che significa, che il sudario del Volto Santo di Manoppello un tempo era esattamente di 2 cubiti x 2.


Per determinare le misure del sudario del Volto Santo di Manoppello fu usata la lunghezza doppia di un'asta in legno simile a quella che vediamo qui sotto


Cubito reale. lunghezza: 52,5 cm. Torino, Museo Egizio. Fonte: C. Le Blanc, A. Siliotti e prefazione di M. I. Bakr. Nefertari e la Valle delle Regine. Giunti, Firenze, 2002

 

Fonti vagliate per la ricerca:




 

Conclusione

 

Le misure della S. Sindone di Torino sono di 113 cm x 441 e quindi a prima vista uno potrebbe credere che esse non corrispondano a quelle standard usate all’epoca di Gesù. Ma se alla larghezza del lino togliamo 8 cm di una fascia ribattuta e quindi cucita ad un lato in un secondo tempo,


ecco che anche la sua larghezza in origine era di 105 cm, e cioè 2 cubiti reali egiziani.

 

Ma vediamo ora quanto misurava in lunghezza:

 

Nella scala delle unità di misura, il cubito equivaleva a 52, 5 cm; un palmo a 7,5 cm; un dito a 1,875 cm. Se consideriamo che la S. Sindone è lunga 441 cm, trasformando questa misura in dita (441: 1,875) otteniamo come risultato 235,2. Dividendo 235,2 per 28 (28 erano le dita che componevano un cubito) abbiamo come risultato 8, 4 cubiti. Quindi con sicurezza possiamo affermare che la S. Sindone in origine misurava 2 cubiti x circa 8 cubiti e mezzo.

martedì 11 settembre 2012

Sindone: il vero volto di Cristo in 3D

Studio realizzato in grafica da Antonio Teseo

Carissimi,

Per chi ancora non possiede gli occhialini colorati "Rosso/Ciano" consiglio al più presto di andarseli a comprare o farseli prestare, perché con il loro ausilio vedrete in questo video, che ho realizzato per voi, qualcosa di veramente incredibile: il Volto di Cristo in 3D della Passione ricavato dalla sovrapposizione "Sindone di Torino - Volto Santo di Manoppello". Grazie e a risentirci.
Buona visione.
 
NB: Attenzione a non usare per molto tempo gli occhialini con i vetrini colorati di cui ho fatto riferimento sopra, perché si possono verificare dei momentanei piccoli disturbi alla vista. Il sottoscritto declina ogni responsabilità per chi non osserva detta precauzione.

http://www.youtube.com/watch?v=R_J6HXQ8Rjw&feature=youtu.be


venerdì 24 agosto 2012

Sindone: dimostrazione scientifica in immagine

Studi realizzati da Antonio Teseo

Dimostrazione scientifica in immagine della presenza di sangue disidratato sul lino sindonico: nello specifico, sulla parte più superficiale delle fibrille di ogni filo (vedi figura 2).

Misurazione in griglia


Spiegazione delle figure che stiamo vedendo

La prima, è il risultato della sovrapposizione in scala 1:1 della S. Sindone di Torino al Volto Santo di Manoppello ottenuta con un rafforzamento di contrasto al computer: nel filtraggio ho fatto prevalere più l'effigie della reliquia abruzzese che quella piemontese;
nella seconda, al contrario, ho fatto prevalere nel filtraggio computerizzato della sovrapposizione più l'effigie piemontese che quella abruzzese. Da questa sovrapposizione possiamo osservare, oltre che al sangue disidatrato presente sulla S. Sindone (Sangue relativo alla Passione di Cristo e che in immagine è lo stesso presente nel Volto Santo) anche le tracce della trama del sudario di Manoppello perché, come ho già detto nelle precedenti pubblicazioni, la figura indefinita del Volto sindonico è il risultato dell' aspetto del Volto Santo che nel sepolcro, il terzo giorno dalla morte di Gesù, si vedeva in trasparenza dal sudario di Manoppello. Questa sembianza con i caratteri sfigurati dal liquido ematico fu proiettata e fissata sul lino torinese dai raggi ultravioletti emessi dalla Luce del Volto di Cristo risorto;
nella terza, vediamo il Volto Santo trasfigurato dalla Luce del Padre. Questa rappresentazione, visibile con schermo scuro retrostante, fa apparire le macchie di sangue asciutte, le cui tracce risultano in parte anche sbiadite perché particolarmente esposte ai raggi luminosi. Oltre a ciò la figura mostra anche le ferite completamente rimarginate da croste.
Sotto, forte ingrandimento della trama del lino sindonico con tracce di sangue presenti sulla parte più superficiale delle fibrille.
http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=2966


Filo a livello di imbrattamento ematico (sopra) e un globulo rosso (sotto)
scoperti da Baima Bollone al microscopio elettronico a scansione (SEM).
Volto cruento di Cristo ricavato dalla perfetta sovrapposizione ematica presente nelle due effigi del lenzuolo e del sudario: i chiarori di fondo, che sono parti integranti dell'immagine della S. Sindone di Torino, sono relativi ai riflessi dei raggi che furono proiettati sul sudario di Manoppello dalla Luce del Volto di Cristo Risorto
Sotto a destra, bande di trama del bisso di Manoppello alcune delle quali sono riconoscibili nell'immagine sindonica (vedi ad esempio quella macchiata dal sangue disidratato che lambisce l'orbita oculare dell'occhio sinistro di Gesù, a sinistra per chi guarda, poiché l'immagine della S. Sindone è impressa in modo speculare).

https://picasaweb.google.com/116545434054082300035/HolyFaceOfManoppello#5217380885037896210

Usanza del sudario all'epoca di Gesù
significato
b. Pezza di lino o di tela con la quale si velava il volto della salma presso alcuni popoli antichi, per es. presso gli Ebrei, e che faceva parte del corredo funebre del defunto, insieme con la sindone e le bende che avvolgevano mani e piedi; in un sudario sarebbe stata avvolta, secondo il Vangelo di Giovanni (20, 6-7), anche la testa di Cristo nel sepolcro: È risorto: il capo santo Più non posa nel s. (Manzoni).
Uso improprio del termine sudario, specialmente da parte di tanti sindonologi, per indicare la sindone
3. Lenzuolo funebre (accezione sorta dalla confusione tra sudario e sindone): salme avvolte nel s.; sulla sera, i due martiri avversi erano ricoperti ciascuno nel suo s. (Pratolini).

lunedì 30 luglio 2012

Video: 2a parte della festa del Volto Santo 2012



Video realizzato da Antonio Teseo



Indirizzo del video pubblicato da me in You Tube:
http://www.youtube.com/watch?v=T5qdic0Byzg

Foto scattate da Antonio Teseo durante la processione: la diapositività olografica del Volto Santo di Manoppello
 

mercoledì 11 luglio 2012

Pensieri di Antono Teseo ispirati dalla contemplazione del Volto Santo di Manoppello

"Perché l'uomo è stato creato ad immagine e somilianza di Dio?

Perché egli è l'unico essere vivente capace di dare testimonianza alla Luce, che è la Vita. Chi testimonia la Luce, è nella Luce."

Antonio Teseo

domenica 8 luglio 2012

Commento di Antonio Teseo su www.uccronline.it

Commento pubblicato da Antonio Teseo nel sito scientifico "uccr".
Link per il collegamento:

http://www.uccronline.it/2012/07/08/nuovo-studio-la-sindone-e-vera-miracolo-in-linea-con-la-fisica/#comment-79654

Come ricercatore, che studia la S.Sindone di Torino e il Volto Santo di Manoppello da più di vent’anni, sono arrivato a queste conclusioni:


1) E’ possibile comprendere l’Azione del Padre e dello Spirito Santo attraverso la Luce (Is. 52, 13-15: passione e gloria del Crocifisso; Lc. 17, 24-25; Gv. 1, 1-14; La Luce si contempla nel Volto Santo sfigurato e trasfigurato impresso sul sudario sepolcrale di Manoppello e sul lenzuolo tombale di Torino);


2) E’ possibile comprendere l’Azione della Luce attraverso il Padre e lo Spirito
Santo
(S. S. Corpo Sacramentato di Gesù Cristo).

lunedì 18 giugno 2012

Critica su una ricostruzuine 3D del volto sindonico



Commenti di Antonio Teseo in:
http://www.youtube.com/watch?NR=1&v=Rlyfd8jruYE&feature=endscreen

Da ricercatore che studia la S. Sindone di Torino e il Volto Santo di Manoppello da più di venti anni vorrei che fosse chiaro questo concetto:
"Il più grande errore che commette qualsiasi studioso che si avvicina alla S. Sindone, è quello di credere che l'immagine impressa su questo lino sia un negativo fotografico". La verità scientifica ci dice invece che la figura è indefinita ed è caratterizzata dal rapporto tra una più o meno intensità di luce e una più o meno densità di sangue.

(2a fig. a destra) immagine spettroscopica ottenuta dalla sovrapposizione del Volto Santo alla S. Sindone da cui si può osservare la variazione dell'intensità dei raggi della Luce Celeste che aveva illuminato il S. S. Sudario di Cristo. Cliccare sulle figure per vederle ingrandite.
(1a fig. della seconda coppia d'immagini) qui vediamo la variazione della densità di sangue che si era impressa sul lino sindonico prima ancora che il liquido ematico avesse subito delle trasformazioni chimiche di cui accennerò appena sotto.









Il sangue impresso, che assieme ad un riflesso di luce ha formato l'immagine (il riflesso è osservabile in un chiarore di fondo), ha subito dei processi chimici di ossidazione e disidratazione. Il suo fissaggio nel lino è avvenuto per proiezione, perché il lenzuolo tombale ha ricevuto delle scariche elettriche per mezzo di emissione di raggi nell'ultravioletto. La causa di questa irradiazione è stata la smaterializzazione del corpo di Cristo in Luce Eterna (Lc. 17, 24-25).
Ciò che noi osserviamo del Volto della S. Sindone, non è altro che l'immagine del sudario, il quale, nel sepolcro, servì per coprire il viso di Gesù dopo la morte (vedi sotto le sue pieghe con i punti d'incrocio facilmente rintracciabili). Il drappo di bisso, nel giorno della Santa Pasqua del Signore, venne illuminato dalla Luce Eterna e fu proprio nella Luce che apparve il Volto Santo di Manoppello.

Comparazione del Volto della S. Sindone "1a immagine" con il Volto Santo di Manoppello "3a immagine"

Dalla sovrapposizione della prima figura alla terza, ottenuta mediante un rafforzamento di contrasto al computer, si può osservare un Volto incredibilmente sfigurato dal sangue della Passione e anche dei segni ematici che hanno macchiato i bordi di alcune pieghe, le quali, come ho già detto, non sono del lenzuolo tombale della sindone, bensì del sudario sepolcrale di Manoppello (vedi fig.2).
Cliccare sulle immagini per vederle ingrandite e verificare attentamente il risultato della mia ricerca.

Ecco perché il Volto Santo di Manoppello è un ologramma. Esso, essendo stato formato dalla Luce Eterna, adempie la profezia di Isaia, 52, 14-15: in questa Effigie ci sono i segni del Volto sfigurato di Cristo "Risorto dai morti" e ci sono i segni del Volto trasfigurato di Cristo "Risorto, perché illuminato anche dalla Luce del Padre, e salito al cielo".

Sotto, la luce del Padre che ha illuminato il Volto del Figlio risorto

Quando Gesù fu deposto nella tomba, la porta chiusa del sepolcro si trovava posizionata ad Est.
Nel simbolismo ebraico, il sorgere del sole a Levante - e quindi a destra rispetto alla direzione di Est-Nord-Est in cui era orientata la fronte di Gesù - significava risurrezione dai morti, proiettarsi cioè in preghiera con l'anima verso la sede dove si trovava il Padre nei cieli. Un giorno sarebbe stato proprio il Padre ad aprire i sepolcri, illuminare le tenebre della morte e quindi risuscitare i giusti, facendoli uscire dalle tombe.
Ora, nel terzo giorno dalla morte di Gesù, un forte terremoto ribaltò la grossa pietra servita per chiudere il sepolcro e dalla porticina della stanza buia, che si trovava un po' più in alto del pian terreno dove era disteso il corpo del Signore, entrò la luce del Padre dal lato in cui i santi occhi del Sacro Volto, nell'attimo della risurrezione, guardarvano.

Esistono decine di testi apocrifi che ci parlano dei teli sepolcrali rinvenuti nel sepolcro di Gesù ma solo a partire dal VI secolo. Questo perché il famoso Sacro Mandylion, che era un involto contenente un lenzuolo tombale ripiegato con sopra un sudario sepolcrale, fu rinvenuto ad Edessa proprio in questo secolo. E non a caso si è cercato allora di identificare il sudario del Sacro Mandylion con il velo un tempo tenuto stretto dalla Madonna dopo la morte di Gesù: Maria lo metteva esposto sempre verso Est, appunto per pregare il Figlio attraverso il Padre.
Ecco il passo preso dal testo tramandato in versione georgiana del Transitus (trapasso della Madonna dalla terra al cielo):
Dopo l’Ascensione di suo Figlio la Vergine Immacolata conservava l’immagi­ne che aveva ricevuto dalle mani di Dio, formatasi sul Sudario; la teneva sempre con sé per poter ve­nerare il volto meraviglioso di suo Figlio. Ogni volta che desiderava pregare suo Figlio poneva l’immagine verso est e pregava guardando l’immagine del volto e tenendo le mani aperte. Quando il lavoro dell’intera vita di Maria fu completato, ella fu trasferita dagli apostoli su una ba­rella in una caverna dove fu posta di fronte all’immagine di suo Figlio”.

In ogni fotografia scattata bene, se si procede col computer a farci passare un filtraggio, che si trova in qualsiasi buon programma di grafica e che si chiama "equalizzazione", si può ottenere un'esaltazione della luce proiettatta su un soggetto dalla quale è possibile comprendere anche la direzione della fonte luminosa; nella fattispecie vedi il risultato per il S.S. Volto del Signore della fig.2.

Nella metà del X secolo, un medico di nome Smera trovò un antico testo siriaco, risalente al VI-VII secolo, che descriveva le vicende dell’Acheiropoiétos. Egli lo tradusse in latino.
Il testo raccontava che sul "linteum" presentato Al re Abgar di Edessa da Giuda Taddeo "faciei figuram sed totius corporis figuram cernere poteris": non solo vi era il Viso, ma era visibile anche tutta la figura del corpo. Il Telo era rimasto incorrotto nonostante la sua antichità durante il lungo periodo nel quale era stato nascosto all’interno di una nicchia. Dopo che fu rinvenuto ad Edessa, il Sacro Mandylion veniva conservato in un reliquiario adornato da una cornice e non poteva essere visto dalle folle se non in occasioni particolari. Una di queste occasioni era il giorno di Pasqua.

Il S. Mandylion nell'iconografia bizantina

Come si può osservare da quest'antichissima rappresentazione bizantina, ritroviamo tutto ciò che fu riportato anche dal medico Smera. Il volto diapositivo del Volto Santo di Manoppello un tempo veniva mostrato al popolo di Edessa, nel giorno di Pasqua, in un reliquiario adornato con una cornice e con dietro un telo lungo, spiegato, che rimanda alla S. Sindone di Torino.

A sinistra l'immagine latente e monocromatica della S. Sindone, caratterizzata dai riflessi di luce che si erano prodotti sul sudario di Manoppello e dal liquido ematico disidratato, ossidato e trasformato in un tono giallo paglierino che ci rimanda ai caratteri somatici di Gesù Cristo macchiati dal Sangue della Passione. Per ottenere lo sviluppo a colori dell'impronta sempre in positivo del Volto della S. Sindone, ci viene allora in aiuto il Volto Santo di Manoppello, vedi la sua sovrapposizione al volto sindonico della figura2.

Testimonianza iconica di quando il sudario del Sacro Mandylion (Volto Santo di Manoppello) nel Medioevo si trovava a Roma con il nome di Veronica

Qui sotto vediamo un'antica medaglietta ricordo, del XV secolo, che veniva venduta ai romei arrivati a Roma per il Giubileo. A quel tempo era viva la leggenda che fosse stata Santa Veronica ad aver fatto arrivare la reliquia nell'Urbe, e che, per riconoscenza verso la donna anche al sudario era stato attribuito il suo stesso nome. Ma da come apprendiamo dal cronista Gervasio di Tilbury, vissuto due secoli prima che fosse proclamato il primo Giubileo, il nome Veronica, per il sudario, derivava da una trasposizione linguistica formata da due parole: una in latino "Vera = Vera, e un'altra in greco "Eycon" = Icona, e che assieme volevano dire "Vera Icona di Cristo". Icona, all'epoca era il termine più appropriato per definire questo reperto sacro, visto che nessuno poteva avere ancora la più pallida idea di comprendere che l'immagine impressa nel bisso fosse invece un ologramma.

mercoledì 13 giugno 2012

Video: Solenne estrazione dalla teca del Volto Santo

Festa del Volto Santo di Manoppello: maggio 2012.
Video realizzato da Antonio Teseo.

Nelle immagini vediamo la solenne estrazione dalla teca del S.S. Sudario di nostro Signore Gesù Cristo e la sua esposizione al Trono.
Durante una processione raccolta in basilica, il rettore del convento porta l'ostensorio verso il trono del Volto Santo, all'interno del quale la reliquia viene sistemata bene per essere trasportata in processione, dopo la solenne Celebrazione Eucaristica delle ore 9, presso il centro urbano di Manoppello. Arrivata nella chiesa matrice di San Nicola di Bari, la Sacra Immagine di Cristo rimane lì per un giorno. La mattina seguente viene portata di nuovo in processione - attraversando prima le vie del paese - verso il colle Tarigni dove si torna nella chiesa che la custodisce.
Nel video vediamo anche giungere le compagnie di pellegrini, provenienti da ogni parte d'Abruzzo, alcune delle quali cantano i loro antichi inni rivolti al Volto Santo.

Note tecniche rivolte agli studiosi che si occupano scientificamente dello studio del Volto Santo di Manoppello.

Tra le riprese effettuate, vi è anche quella con visione in controluce del S. S. Sudario di bisso: la scena è stata girata dopo l'apertura del portone centrale della basilica.
La luce, che prima di filtrare il sudario, ha già dovuto filtrare due vetri esterni che si trovano installati dentro il trono come involucro protettivo per l'ostensorio e altri due vetri che racchiudono al loro interno la reliquia, ci fa apparire l'immagine diafana e con tono chiaro per i vari riflessi che il colore bianco della luce ha dovuto subire prima di mostrarsi a noi. Quindi questa tonalità di sovraesposizione della luce si sovrappone allo scenario di fondo dove si vedono in trasparenza le compagnie di pellegrini con i loro stendardi. Se, però, noi focalizziamo bene lo scenario e procuriamo un oscuramento all'immagine - così da eliminare i riflessi del colore bianco della luce - ecco allora che rileviamo i colori naturali dello scenario senza alcun'interposizione, o interferenza, di qualsiasi tono artificiale relativo a colore pittorico (vedi sotto le foto da me scattate in basilica, durante un giorno non di festa, in presenza del rettore).




giovedì 7 giugno 2012

Il polline rivela: la Sindone è un lenzuolo funebre

Un'importantissima scoperta condotta da una ricercatrice dell'Università delle Isole Baleari, Marzia Boi, specialista di "palinologia", attesterebbe che il lenzuolo della S. Sindone di Torino faceva parte del rituale funerario secondo gli usi di 2000 anni fa in Asia Minore.
Per leggere l'articolo clicca sul link qui sotto:

La perfetta sovrapposizione del Volto della S. Sindone al Volto Santo di Manoppello: cliccando sulle prime due immagini, possiamo osservare nell'ingrandimento la trama del lino sindonico sovrapposto al sudario sepolcrale con trama a "tela" del Volto Santo di Manoppello.  




martedì 5 giugno 2012

Il cardinale Ivan Dias pellegrino al Volto Santo di Manoppello


Domenica 3 giugno 2012, i fedeli presenti nella Basilica del Volto Santo di Manoppello hanno avuto la gioia di ricevere la visita di Sua Eminenza Ivan Dias, Prefetto Emerito della Congregazione per la Vangelizzazione dei Popoli. Il cardinale è arrivato pellegrino, nel Tempio del S.S. Sudario di Nostro Signore Gesù Cristo, con un gruppo di preghiera internazionale. Egli era il presule che più di tutti fu vicino a Santa Madre Teresa di Calcutta condividendone le opere a Dio.

Madre Teresa con Ivan Dias, arcivescovo di Bombay«Tutto fu opera di Dio. Niente fu opera mia» Madre Teresa di Calcutta. Una testimonianza personale a novant’anni dalla nascita di Ivan Dias Ricorre in agosto il novantesimo della nascita di Agnes Gonxha Bojaxhiu, che tutti noi conosciamo come Madre Teresa di Calcutta. Non le piaceva che si scrivesse di lei, ma dei poveri, e dei “più poveri dei poveri”, che ha amato e che le sue mani hanno accarezzato come avrebbero accarezzato Gesù. E se in questo modesto ricordo mi permetterò qualche parola su di lei, sarà, in fondo, per ossequiare tale suo desiderio. Madre Teresa e, vestito di bianco, Ivan Dias, già nunzio apostolico in Albania e oggi arcivescovo di Bombay. Madre Teresa era nata il 27 agosto 1910 Il mio primo incontro con Madre Teresa fu nel dicembre 1964, in occasione del Congresso internazionale eucaristico a Bombay. Ero allora impegnato, quale addetto alla Segreteria di Stato vaticana, nell’organizzazione della visita di sua santità papa Paolo VI. Il Santo Padre aveva portato in India una grande autovettura che gli era stata regalata dagli Stati Uniti, una bellissima Lincoln decappottabile. Alla fine del viaggio papa Montini decise di lasciare la macchina a Madre Teresa: questo atto di donazione fu l’ultimo suo gesto all’aeroporto di Bombay prima di salire sull’aereo di ritorno a Roma. Madre Teresa mise l’autovettura all’asta e il governo indiano le diede l’esenzione dalle tasse d’importazione. E così ella ricavò molti denari per i suoi poveri. Già allora, la Madre irradiava quella bontà che sarebbe poi stata riconosciuta in tutto il mondo. Quel mondo che volle “farla propria” facendole meritare il Premio Nobel per la pace e i funerali di Stato quando morì nel mese di settembre 1997. Quando, nel 1991, fui nominato nunzio apostolico con facoltà di vescovo residenziale per tutta l’Albania, ebbi molte occasioni di incontrarla. Madre Teresa visitò l’Albania – sua patria d’origine anche se era nata a Skopje, nell’odierna Macedonia – almeno otto volte dopo la morte del dittatore Enver Hoxha, che in vita non le permise mai di tornarvi: neppure quando morì sua madre. Ma durante il primo viaggio in Albania dopo la scomparsa del dittatore, Madre Teresa fece visita alla vedova, si recò al cimitero dove si trovava la tomba del dittatore e mise un mazzo di fiori sulla sua lapide. Tale gesto, pieno di carità, fu apprezzato da tutti, cristiani e non cristiani, e anche da coloro che erano stati vittime delle feroci persecuzioni del dittatore. Madre Teresa amava molto la sua madrepatria e in pochi anni aprì in Albania sette comunità delle Missionarie della Carità – le sue “suorine” – e dell’Istituto di fratelli di vita semicontemplativa da lei fondato. Tutti si dedicano con zelo esemplare alla cura dei “più poveri dei poveri”: bambini abbandonati, orfani, portatori di handicap, barboni, senzatetto, moribondi. Nel 1992 il governo albanese fece pervenire un messaggio alla Madre tramite l’ambasciata a Roma: le chiedevano di costruire un ospedale nella capitale Tirana, «per mostrare come bisogna curare gli infermi con dedizione e amore». Fu un gesto anche politico, certo, da parte del governo. Però quelle parole mi colpirono: erano, in ultima analisi, l’intelligente riconoscimento di una realtà. Alla base della richiesta del governo vi era anche la penosa situazione in cui nel 1991 il popolo shqiptár si trovava, dopo quaranta anni di dittatura comunista. In tutto il territorio non mancavano sicuramente né ospedali né medici qualificati, ma medicinali e attrezzature chirurgiche, la pulizia e l’igiene di base, spesso perfino l’acqua per mantenere pulite le mani dei chirurghi prima e dopo gli interventi e per i pazienti. Ricordo una volta che nel corso di un delicato intervento agli occhi, mancò l’elettricità. Molti bambini nascevano con difetti al cuore o con altre infermità, e si sarebbero potuti salvare, se curati tempestivamente. Grazie alla benevolenza di tanti benefattori s’era potuto mandare parecchi di essi in Italia e strapparli dalla morte. Per cui sorse sempre più spesso la domanda: perché non trattare i casi direttamente in Albania, dando lì stesso a più bambini il beneficio di trattamenti qualificati? Ma non bastava solo modernizzare le strutture sanitarie governative esistenti, bisognava – secondo la richiesta albanese a Madre Teresa – insegnare «come trattare i pazienti con amore». Nella realtà fu così. Quando arrivarono le suorine di Madre Teresa piene di fede, di semplicità e di bontà, la gente – i poveri specialmente – si affollava alle porte dei loro conventi per avere un’aspirina, per ricevere qualche parola di conforto, per affidare loro i propri bambini orfani, malati o malnutriti. Certo, non si trattava di insegnare, ma di testimoniare. Gesù era nel volto di quegli umili e sofferenti. La Madre si diceva sempre profondamente scossa dalle parole di Gesù: «Avevo fame, sete, ero nudo, forestiero e mi avete accolto…». Ero presente all’incontro presso la casa romana delle Missionarie della Carità al Celio. Alla domanda del governo albanese la Madre rispose che tale opera non entrava nel carisma del suo istituto e mi chiese se potevo accettare tale proposta come vescovo del Paese. L’accettai volentieri ed invitai a realizzare il progetto la congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione – nota a Roma per il suo contributo nel campo di ricerche mediche all’Istituto dermatologico dell’Immacolata (Idi). Conoscevo quell’istituto religioso da quando, come nunzio apostolico, avevo accolto la sua prima fondazione in Corea del Sud. I piani dell’ospedale presentati dall’Idi impressionarono il governo albanese così bene che il ministro della Sanità propose che l’opera contemplasse la formazione sanitaria, con l’aggiunta di una scuola per infermieri. Per costruire l’ospedale chiedemmo di avere una struttura all’entrata della capitale, che da molti anni era in fase di costruzione ma era rimasta allo stato rustico. C’erano parecchie difficoltà “politico-burocratiche” per ottenere questo edificio, e ne parlammo con Madre Teresa. Ricordo che lei, con la sua bontà proverbiale e l’intrepida fede, visitò l’edificio e mise numerose medaglie della Madonna immacolata – lei le chiamava le “medaglie miracolose” – nelle pareti dell’edificio. Tale gesto di fede fu premiato, perché in poco tempo il governo mise l’edificio a disposizione della Chiesa. Madre Teresa prese talmente a cuore l’opera che ogniqualvolta mi incontrava o mi scriveva chiedeva come progredisse. La Madre non accettò la proposta del governo albanese (e di altri) che l’ospedale portasse il suo nome, ma chiese che fosse chiamato Nostra Signora del Buon Consiglio, venerata come patrona dell’Albania. Lei era sempre stata contraria a che si usasse il suo nome per sollecitare fondi, per qualsiasi fine, ma per il “suo” ospedale mi diede un documento scritto interamente di suo pugno: «Che il Signore benedica coloro che aiuteranno l’ospedale Nostra Signora del Buon Consiglio a Tirana. Gesù ha detto: “Tutto ciò che avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me. La mia gratitudine a voi sarà la mia preghiera per voi”». Lei stessa non affidò all’immagine di Madre Teresa la riuscita dell’opera, ma alle preghiere. Chi conosce la realtà dell’Albania sa della necessità del Nostra Signora del Buon Consiglio. Mi sia consentito rubare una riga per ringraziare di cuore l’arcivescovo di Tirana monsignor Mirdita e il nunzio in Albania monsignor Bulaitis della loro continua sollecitudine. Nel mio ricordo Madre Teresa non perdeva mai il suo senso del buon umore. Quando visitò l’Albania dopo aver subito un grave intervento al cuore negli Stati Uniti, le dissi quanto eravamo felici di averla tra noi. Mi rispose sorridendo: «Sa che sono andata alle porte del paradiso e san Pietro mi ha guardato arrabbiato e mi ha detto: “Che cosa sei venuta a fare qui? Non sai che in cielo non ci sono slums che ti possano interessare?”». Oggi sono lieto di avere nell’arcidiocesi di Bombay sei comunità di missionari e missionarie della Carità. La loro testimonianza di fede e di ardore mi colpisce e commuove. Umili e fedeli all’esempio della loro fondatrice, i missionari e le missionarie si prodigano in opere di carità per i poveri, i malati, gli anziani e i lebbrosi, e – mentre qui in India vige il rigoroso sistema indù delle caste – li accolgono senza fare alcuna distinzione di appartenenza religiosa o sociale, abbracciano tutti con la trasparenza di un amore gioioso che rispecchia quello di Dio per i suoi figli e imita l’amore di Gesù Cristo, morto per tutti. Di fronte a tanto bene che Madre Teresa ha fatto nel mondo, così tanto che potrebbe sgomentarci, spesso mi sovvengono le sue parole, un ristoro per il mio cuore sempre grato di averla incontrata: «Al momento della professione… scelsi di chiamarmi Teresa. Ma non era il nome della grande Teresa d’Avila. Io scelsi il nome della piccola Teresa: Teresa di Lisieux. Nella scelta delle opere di apostolato delle Missionarie della Carità non vi fu pianificazione né idee prefissate. Iniziammo i nostri lavori via via che si presentarono le necessità o le opportunità. Dio si assunse il compito di mostrarci che cosa volesse da noi momento per momento. Tutto fu opera di Dio. Niente fu opera mia».

«Ha reso visibile il volto di Gesù»

Così il cardinale indiano Ivan Dias riassume l’opera di Madre Teresa. L’arcivescovo di Bombay parla anche della Chiesa cattolica in India, del rapporto con lo Stato e con le altre religioni

di Giovanni Cubeddu

“La missione nel pontificato di papa Giovanni Paolo II” è il titolo della relazione che Ivan Dias, 67 anni, cardinale e arcivescovo di Bombay, esporrà alla fine del convegno in onore del Papa, sabato 18 ottobre. L’India è terra di missione, lo è stata per Madre Teresa – che Dias conobbe da nunzio in Albania – e lo è nei modi propri della Chiesa indiana (reduce dalla visita ad limina), che Dias qui ci descrive: grande pazienza, apertura, libertà.
Madre Teresa con Ivan Dias, arcivescovo di Bombay
Madre Teresa con Ivan Dias, arcivescovo di Bombay

Eminenza, Madre Teresa viene beatificata...
IVAN DIAS: Al popolo indiano appare un fatto naturale che Madre Teresa sia beatificata, e che un giorno sia anche canonizzata. Perché ciò che lei ha fatto e testimoniato è una cosa viva, è valida anche oggi ed è comprensibile a tutti gli indiani, che sono in maggioranza assoluta non cristiani: indù, musulmani, buddisti, sikh… I cristiani in India sono 23 milioni, il 2,3 per cento di una popolazione di oltre un miliardo di persone, e i cattolici sono solo l’1,8 per cento. Quanto a noi, il popolo di Dio, in tanti in cuor nostro guardiamo a Madre Teresa come ad una santa, che ha reso visibile il volto di Gesù. Lei che di fronte a situazioni penose e difficili non nascondeva d’averle potute affrontare solo perché in quei poveri vedeva Gesù; conservava in cuore quel brano del Vangelo che dice: «Qualunque cosa avete fatto ad uno dei più piccoli l’avete fatto a me». È dunque facile capire perché il governo ha voluto onorarla con i funerali di Stato: un tributo che, salvo personalità istituzionali, dall’indipendenza dell’India contemporanea ad oggi è stato concesso solo al Mahatma Gandhi.
Io spero tanto che questa testimonianza mirabile di Madre Teresa si diffonda sempre di più. A Bombay, ad esempio, si trovano già le sue suore missionarie della carità e i fratelli del ramo maschile da lei fondato, ma da un po’ di tempo vedo anche laici che, sul suo esempio, seguono le suore e i fratelli per le strade e si prendono cura dei più poveri. E questo impressiona tutti, cristiani e non cristiani.
L’episcopato indiano ha svolto di recente la visita ad limina. Come vi siete preparati ad incontrare il Papa? DIAS: È stato un evento normale, direi. Ogni vescovo ha preparato una relazione per la competente Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Le visite ad limina sono programmate su base regionale: noi di Bombay aderiamo alla circoscrizione dell’India occidentale, la Western Region. I primi a visitare il Papa sono stati i presuli siro-malabaresi e siro-malancaresi, appartenenti agli altri due riti cattolici presenti in India. Poi è stato il turno di noi latini. Ogni regione in India ha la sua particolarità, e il Papa lo sa. A noi della circoscrizione occidentale ha però parlato anche dell’India in generale.
A che proposito? DIAS: Censurando il comportamento dei fondamentalisti indù che ostacolano la vita della Chiesa. Il Papa si riferiva ai cinque Stati indiani dove esistono delle leggi che proibiscono le cosiddette “conversioni forzate”. Ad una lettura di buon senso, tali normative non dovrebbero preoccupare in alcun modo la Chiesa cattolica. Ma purtroppo alcuni funzionari governativi talvolta le applicano arbitrariamente, nonostante le ampie assicurazioni dei governi locali e centrale che non esiste assolutamente un’opzione anticattolica e che queste leggi devono far preoccupare solo gruppuscoli e sètte che, dicono loro, convincono la gente a suon di dollari. Chi ha ideato queste norme ambigue sa però che la nostra fede non è una scelta intellettuale, che ci si può convertire perché magari s’è vista un’opera buona, s’è ricevuto qualche beneficio… insomma, anche per qualche buona ragione pratica. Ma questo dai malevoli è ritenuto un’esca e fa scattare i rigori della legge.
Anche se in cinque Stati indiani vigono norme restrittive della libertà dei cristiani, ritengo che ciò non sia un ostacolo insormontabile. Se ad esempio uno vuol essere battezzato pubblicamente, può farlo nello Stato contiguo e il giorno stesso tornare a casa. In definitiva, la vita quotidiana della Chiesa, anche in uno Stato indù, è assai più semplice di quanto non s’immagini. Tra cristiani c’è un dialogo sulla fede condivisa. E con la gente comune, di qualsivoglia religione, c’è il bellissimo dialogo della vita quotidiana.
Lei s’è fatto una ragione di questo atteggiamento di taluni funzionari governativi? DIAS: Beh sì, crediamo che la sorgente principale della durezza di alcuni indù nei confronti della Chiesa risieda nella loro concezione del castismo, che non ammette eccezioni alla gerarchia che dal bramino discende fino al dalit, al fuori casta. Mentre se un uomo si converte al cristianesimo, non apparterrebbe più a nessuna casta, e un fuori casta avrebbe gli stessi diritti del bramino più notabile! Impedire questo è lo scopo di chi vuole fare dell’India uno Stato indù, da contrapporre al Pakistan musulmano, chiaramente cristallizzando il sistema delle caste. Il Papa si è espresso contro questa legge anticonversione perché viola i diritti umani, ed è stato censurato da certi politici indiani, cui ha replicato bene la nostra Conferenza episcopale nazionale.
C’è discriminazione anche contro gli adivasis, che sono gli originari abitanti del Paese. La recente elevazione al cardinalato di un adivasi, monsignor Telesphore Toppo, arcivescovo di Ranchi, è visibilmente un segno che la Chiesa ritiene tutti gli uomini ugualmente figli di Dio.
Un ricovero per indigenti nella città di Malda, in India; si nota sulla destra un quadro con una frase di Madre Teresa
Un ricovero per indigenti nella città di Malda, in India; si nota sulla destra un quadro con una frase di Madre Teresa
Come si può essere cristiani senza con ciò voler rivoluzionare il sistema delle caste? DIAS: Bisogna dire onestamente che il numero degli indù ostili alla Chiesa è assai ridotto, sebbene alcuni di essi siano oggi al governo. Non è questa comunque la convinzione della gente comune, perché l’induismo come tale ammette le altre religioni, e nella nostra vita quotidiana c’è molta convivenza armoniosa: anche perché gli indù vedono che le opere dei cristiani sono aperte a tutti, senza alcuna distinzione di casta o di condizione sociale o credenza religiosa.
Quattro anni fa dei fondamentalisti indù bruciarono vivo un missionario australiano protestante e i suoi due figli, perché lavorava tra i lebbrosi. Portarono a pretesto che operava conversioni e che aiutava illecitamente chi, secondo le credenze indù nel karma (reincarnazione), stava scontando con la malattia i peccati della vita precedente. I cristiani invece, come il Buon Samaritano, sono amici di tutti; in India quasi un terzo della carità verso poveri, orfani, lebbrosi o malati di Aids è opera di cristiani. Madre Teresa vedeva e amava Gesù nei poveri che soccorreva, nei lebbrosi, ed era per questo, solo per questo, che trovava il coraggio di abbracciare quei corpi che stavano disfacendosi.
Partendo dalla sua diocesi, che cosa caratterizza la vostra vita quotidiana? DIAS: Con i vescovi della regione occidentale abbiamo l’abitudine di incontrarci due volte all’anno, una volta si riunisce tutta la Conferenza episcopale latina e ogni due anni ci troviamo tutti insieme con i malabaresi e i malancaresi. Ci scambiamo così fraternamente molte informazioni ed esperienze, anche per aiutarci l’un l’altro. I nostri superiori a Roma vengono costantemente informati di quanto la nostra Chiesa fa per l’educazione dei ragazzi, per la cura dei malati e per la società indiana in genere: questa è la nostra vita quotidiana. Non abbiamo grandi problemi. Vi sono alcuni Stati indiani, come il Gujarat, dove la pressione di fazioni estreme si fa sentire: non vi sono in genere pericoli per le opere cristiane, ma sono purtroppo state fatte violenze a singoli missionari. Due anni fa il Gujarat ha patito la grande sciagura del terremoto, e di recente vi sono stati scontri tra indù e musulmani. Cinque anni fa le fazioni indù aggredivano i cristiani, ora lo scontro è piuttosto contro i musulmani, e noi cristiani cerchiamo di mitigare gli animi. La Chiesa cattolica viene sovente richiesta di un’intermediazione di pace, e non si tira mai indietro. Aiutiamo anche a lenire le sofferenze delle vittime dei disastri naturali. La diocesi di Bombay, all’indomani del terremoto in Gujarat, ha fatto una colletta per le famiglie senzatetto. È andata bene e la Caritas ci ha affidato la costruzione di mille abitazioni…
Inoltre, un bel fiore che abbiamo offerto alla Chiesa è quello delle numerose vocazioni religiose. In India ci sono circa settantamila preti e centomila suore per 18 milioni di cattolici, ed è forse il rapporto più alto in Asia.
La folla ai funerali di Madre Teresa. Dice Dias: «Ciò che lei ha fatto e testimoniato è una cosa viva e comprensibile a tutti gli indiani»
La folla ai funerali di Madre Teresa. Dice Dias: «Ciò che lei ha fatto e testimoniato è una cosa viva e comprensibile a tutti gli indiani»
Torniamo agli incontri romani. DIAS: Visitando la Congregazione per la dottrina della fede, il discorso è caduto su quei teologi indiani che hanno difficoltà nello spiegare la nostra fede in Gesù unico salvatore di tutti gli uomini. Il tema era già stato esaminato dalla Congregazione per l’educazione cattolica durante la visita apostolica ai seminari. Con il Pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso c’è stata una collaborazione fraterna, come pure con la Congregazione per il culto divino. Abbiamo chiaramente condiviso molte questioni con la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Infine c’è stato l’incontro col Papa, il quale ci ha sorpreso tutti per l’interesse mostrato ai problemi delle nostre diocesi e per il suo ricordo di tante persone incontrate e dei luoghi visitati durante i suoi viaggi nelle nostre diocesi. A Roma c’è la Chiesa universale e il Papa è fedele al suo mandato di “confermare i fratelli”.
Potrebbe rintracciare un denominatore comune nei dialoghi con i dicasteri romani? DIAS: L’inculturazione. L’India è un mosaico di culture. Non si può dire che esista una cultura indiana dominante. Il popolo indiano è, inoltre, già di per sé profondamente religioso. Gesù non è venuto per “abolire” – diciamo noi alle persone che, davanti alla sfida del cristianesimo, temono per il futuro del loro credo tradizionale –, ma a portare il compimento. Da noi, solo con la pazienza si può testimoniare Gesù: ci sono tanti ostacoli in India che la Chiesa deve affrontare, come il sistema delle caste, la corruzione, la convivenza tra le comunità religiose. Siccome non c’è una sola cultura indiana, ma più culture, molto resta nelle mani dei vescovi locali. Ad esempio, in tutta l’India sono parlate oltre duecento lingue nello Stato centrale, e chi le conosce tutte? A Bombay soltanto ce ne sono almeno sette. Così quando un testo liturgico viene tradotto, la responsabilità resta in capo al vescovo locale, cui deve andare la nostra fiducia. A Roma noi facciamo sapere che un testo è stato tradotto, e non pretendiamo che la recognitio significhi che il contenuto di quel testo sia perfetto. Per il futuro – su richiesta del competente dicastero romano – un membro della Conferenza episcopale nazionale che conosce la lingua de quo farà parte della commissione per la ricognizione.
Lei ha detto che dalla Chiesa indiana viene la testimonianza di una grande pazienza. DIAS: E di una grande apertura, che è costitutiva dello spirito indiano: ecco perché l’uomo comune, a New Delhi come a Bombay, sa che l’estremista è uno straniero, è uno fuori della cultura del nostro popolo. A Bombay c’è un santuario cattolico frequentato – e non è l’unico caso – anche dagli indù, dai sikh… Ogni mercoledì ci sono circa settantamila persone a pregare la Madonna del perpetuo soccorso, e per la maggioranza sono non cattolici. E la Madonna concede i suoi favori e le sue grazie a tutti, è davvero una mamma. È un dialogo di vita, pratico, il nostro. L’8 settembre, natività di Maria, ci sono santuari cattolici dove si radunano da due a tre milioni di persone per festeggiare la Madonna. Sono giorni di festa e di fiera. Anche degli indù vanno a salutare la Madonna per il suo compleanno. Loro ci trovano qualcosa di speciale in Maria: «Nella nostra religione» dicono «ci sono delle dee donne, invece voi avete questa donna col bambino in braccio, una mamma…». Così qualcuno di noi ha modo di spiegare loro la nostra cara fede: che quella donna è lì per via di quel bambino. E chi è quel bambino? Gesù.
Come è vissuto dalle Chiese in India il primato di Pietro? DIAS: Tutte le Chiese cattoliche-latine, siro-malabaresi e siro-malancaresi sono unite con Roma, accettano il Papa e il suo primato. Altre, pur restando fedeli alle tradizioni apostoliche, non sono in piena comunione con la Sede Apostolica di Roma. Una comunità siro-malancarese si è unita recentemente col patriarcato di Antiochia, col quale aveva da tempo rapporti. Noi siamo aperti e fraternizziamo con tutti, qualunque sia la loro disposizione verso Roma, non abbiamo problemi di ecumenismo a Bombay. Anzi, ad esempio, con altre cinque comunità non cattoliche lavoriamo assieme per la carità verso i cari defunti: lo Stato ha dato degli spazi comuni di sepoltura per i cristiani, e le cinque confessioni cristiane insieme hanno creato un trust per gestirne tutte le incombenze. C’è una tale buona intesa con questi fratelli cristiani che è un piacere lavorare assieme, avere questo dialogo così pratico. Teologicamente parlando, tra loro c’è chi non accetta il Papa, chi non condivide con noi alcune realtà di fede e di morale, però nella pratica viviamo insieme da fratelli.
Per quanto riguarda specificamente noi cattolici, il Papa è il Papa, e la Curia ci ascolta mostrando grande apertura. Ci conosciamo bene reciprocamente, noi e Roma, con un rispetto che fa onore ad entrambi, e a Roma sanno bene che è il vescovo locale a guidare santamente la sua Chiesa. In questa visione la visita ad limina è l’incontro tra la Chiesa universale e la Chiesa locale, che già rappresenta e contiene quella universale: è un esercizio di cattolicità.
Cattolici indiani in processione  a Darjeeling
Cattolici indiani in processione a Darjeeling
Nei rapporti tra Stato e Chiesa in India, c’è da segnalare qualcosa di anomalo? DIAS: No. Solo qualche disguido dovuto alla presenza nel governo centrale di taluni rappresentanti di un pensiero estremista, come ho già detto. Ma sono questioni di competenza della nunziatura e della Segreteria generale della Conferenza episcopale nazionale a New Delhi, non del singolo vescovo… Accenno qui solo al diniego del visto per i missionari, motivato dal problema del proselitismo.
All’India viene riconosciuta oggi una maggiore rilevanza politica internazionale, che il governo di New Delhi gioca spesso a favore del multilateralismo. La Chiesa si giova di questa condizione favorevole dello Stato? DIAS: Come pastore vedo che l’onda economica della globalizzazione cavalcata dall’India inquina la pasta di cui il mio popolo è fatto, cancella i suoi punti di riferimento spirituali quotidiani, e ciò mi addolora. Ricordo un’udienza che ebbi col Santo Padre, a cavallo degli anni 1983-84, quando ci si aspettava che il comunismo crollasse e subito spuntasse una nuova era. Il Papa mi disse che la capitolazione del comunismo, cioè dell’ateismo teorico, era necessaria ma non sufficiente, e che prima di poter costruire una civiltà dell’amore doveva essere sconfitto anche il capitalismo, ossia l’ateismo pratico. Non era una visione utopistica la sua, ma realistica: voleva infatti seguire Giovanni XXIII, nel suo desiderio di vedere una nuova primavera della Chiesa, e Paolo VI, che attendeva l’avvento di una civiltà dell’amore.
Ambedue questi Papi, un pontificato breve ed uno più lungo, sono tuttora fortemente presenti nell’immaginario della Chiesa, che li identifica nella stagione del Concilio Vaticano II. Ma per poter giungere ad una primavera si deve solo attendere che l’argilla sia rotta e plasmata dal Signore.
Lei viene a Roma a festeggiare il XXV anniversario dell’attuale pontificato. DIAS: Il Papa ci ha dato una bella testimonianza di ciò che vuol dire avere la fede di Pietro e il cuore di Paolo. Quando si parla di Roma si parla della fede di Pietro, la fortezza fondata sulla roccia che venti e maree non scuotono. E come san Paolo, che si è fatto tutto a tutti, il Papa ha girato il mondo intero come araldo della Buona Novella di Gesù Cristo e difensore dei diritti dell’uomo e della sua inalienabile dignità. Papa Giovanni Paolo II è stato un vero papa, ed ha avuto il tempo di affermarsi.

mercoledì 30 maggio 2012

Video: Solenne Veglia al Volto Santo di Manoppello

Solenne Veglia al Volto Santo di Manoppello: "Feste di Maggio 2012".

Esposizione e adorazione del Santissimo Corpo Sacramentato di nostro Signore Gesù Cristo con canti e preghiere in presenza del Santissimo Sudario del Sacro Volto di Cristo e della statua della Madonna.
Video realizzato da Antonio Teseo.
(Per vedere al meglio il video, dopo averlo azionato posizionare la freccetta del mouse in alto sul bordo del prospetto del blog).

venerdì 25 maggio 2012

I caratteri somatici del Santo Volto di Cristo


Queste sono le mie ultime elaborazioni grafiche
che mostrano i caratteri somatici
del Santo Volto di Cristo.

Per comprendere bene le figure che vediamo sopra, bisogna immaginarsi cosa successero ai teli sepolcrali nell'attimo della risurrezione del Redentore.
Il S.S. Sudario del Volto Santo di Manoppello, che a seguito della preparazione del corpo di Gesù durante la sepoltura aveva coperto per tre giorni il Suo viso (Gv. 20, 7), nell'evento della Santa Pasqua del Signore fu irradiato dalla Luce Celeste per mezzo dello Spirito Santo (Gv. 20, 8). Da questo drappo di finissimo bisso si sarebbe visto in trasparenza, e quindi da dietro, la figura che approssimativamente vediamo nella ricostruzione grafica (fig.1); la sembianza latente di questo Santo Volto Vivo e Vero risorto dai morti andò a proiettarsi e a impressionarsi specularmente sul lino della S. Sindone di Torino (vedi qui sotto).
Questa foto, che mostra un devoto orante vicino al sudario, ci spiega come da dietro il velo, illuminato da riflessi di luce, si potesse vedere in trasparenza anche il Volto Vivo e Vero di Gesù, risorto dai morti

Esaminando al computer la sovrapposizione "Sindone - Volto Santo" con un rafforzamento di contrasto, viene alla luce che l'immagine impressa sul lenzuolo della S. Sindone è formata da sangue vivo (vedi sotto la fig.2). Ciò ci suggerisce allora di sentenziare che, una più o meno densità ematica che compariva sopra i caratteri somatici del volto fosse in rapporto "nell'immagine latente miracolosamente proiettata e impressa dalla Luce Celeste" con una più o meno intensità di luce che aveva illuminato da dietro il sudario di Manoppello con impresso il Volto Santo (vedi nella fig. 4 l'immagine spettroscopica ricavata dalla sovrapposizione S. Sindone - Volto Santo, da cui si possono osservare le variazioni dei riflessi di luce che avevano illuminato il sudario di Manoppello).
A questo punto ne consegue anche che l'intensità complessiva dell'immagine sindonica risulta essere proporzionata alla variabilità della distanza dei caratteri del Volto al sudario (rivedi la prima figura pubblicata sopra, cliccandoci sopra).


A destra, spettro ricavato dalla sovrapposizione
"Sindone di Torino - Volto Santo di Manoppello" da cui possiamo osservare la variazione dell'intensità dei riflessi di luce (cliccare sull'immagine per vederla ingrandita).




Torno a ripetere, per coloro che non ancora hanno letto i post precedenti, che è possibile ricostruire in grafica i caratteri somatici del volto di Cristo, perché l'aspetto sindonico contiene informazioni 3D se viene elaborato al computer (vedi per l'appunto la fig.2).


Sotto a sinistra, l'immagine monocromatica e latente del Volto della Sacra Sindone di Torino, il cui sviluppo dipende dalla sovrapposizione alla stessa del Volto Santo di Manoppello (vedi fig.2).


Queste due reliquie di Cristo, dunque, adempiono la profezia di Isaia, 52, 13-15, perché il Padre, mostrandoci le loro immagini ispirate dallo Spirito Santo, ha voluto dar gloria del Crocifisso a tutti i popoli della terra. Esse erano e sono rivolte: ai nostri antichi antenati "come S.S. Vere Icone" per essere i prototipi a cui gli artisti si dovevano ispirare per raffigurare l'iconografia del volto di Cristo; alla nostra generazione "come ologramma del Santo Volto sfigurato e trasfigurato" per farci comprendere al meglio, con la tecnologia, la Luce della Verità (Mc, 4, 21-22).

La prima immagine a sinistra, che vediamo sotto, mostra l'aspetto del Volto Santo risorto dai morti sfigurato dal sangue della Passione (Is. 52, 14: Come molti si stupirono di lui - talmente sfigurato era il suo aspetto al di là di quello di un uomo); la terza immagine mostra invece la figura del Volto Santo trasfigurato dalla luce del Padre, proveniente dal lato destro del Cristo a cui il santo sguardo è rivolto (Is. 52, 14: e la sua figura al di là di quella dei figli dell'uomo).